Personaggi
Francesco Jovine
Nel fiabesco scenario di Piedicastello, nel cuore di questo paesello antico, in una nobile casa decrepita, nasce il 9 ottobre 1902, dai coniugi Angelo e Amalia Loreto, Francesco Jovine. Qui cresce, gioca apprende. Ascolta qui, incuriosito, al tepore del caminetto, l’affabulazione del babbo, uomo dolce e virile, che narra a lui, angherie di potenti, raccapricci di contadini, burle di galantuomini. Qui cerca libri antichi e li trangugia. Egli stesso racconta in una breve biografia: “Ricordi d’infanzia”, la sua inclinazione alla lettura. A nove anni compone i primi dieci capitoli di un romanzo storico, e ad 11 il primo canto di un poema in terza rima.
Lascia adolescente Piedicastello e Guardialfiera. Studia al Convitto Vescovile di Larino, poi a Velletri ed a Città Sant’Angelo, dove si diploma maestro elementare a 16 anni. E’ giovane, comprende la miseria del tempo e, per campare, fa l’istitutore a Maddaloni ed a Vasto. Presta servizio militare nel ’22 a Roma, e partecipa nello stesso anno al Concorso Magistrale, risultando primo classificato a Campobasso. Insegna tre anni nelle scuole di Guardialfiera. Torna a Roma, si laurea a 23 anni, diviene assistente universitario del Prof. Giuseppe Lombardo Radice. Nel ’28 conosce una esile e colta pedagogista della Ciociarìa, Dina Bertoni, con la quale il 16 dicembre contrae matrimonio religioso nella Parrocchia dei Santi Angeli Custodi.
Collabora con quotidiani e riviste. E’ Direttore Didattico. Per sfuggire alla dittatura; va nel ’37 a Tunisi. L’anno dopo insegna e dirige scuole italiane al Cairo e ad Alessandria d’Egitto.
Ritorna in Italia: a Roma è un molisano inurbato; si sente sperduto. Ma la sanità morale, le evocazioni paterne ed il richiamo alla magìa della sua e di questa terra incontaminata, lo salveranno. Le ricomposizioni della mitica realtà molisana, vicende e personaggi singolari e grotteschi, il perenne contrasto tra vertà ed errore, fra progresso e reazione, danno vita alle sue creazioni ed al suo vero scopo letterario.
E scrive. Prima un raccontino per ragazzi Berluè; poi un romanzo su un giovane medico insoddisfatto e vuoto: “Un uomo provvisorio”; un altro romanzo “Ragazza Sola”, ed una serie di bei racconti:
- Ladro di Galline
- Il Pastore Sepolto
- L’Impero in Provincia
- Tutti i miei peccati.
Nel 1941, in piena guerra, egli torna nel Molise come inviato speciale di un quotidiano di Roma. Scrive 12 articoli per la terza pagina. E lì svela il nucleo della sua poetica di narratore e l’idillio dell’uomo e dell’artista. “Viaggio nel Molise” trasformato in libro nel 1968.
Nel ’42, il romanzo, forse il più noto ed il più significativo: “Signora Ava”, ambientato a Guardialfiera fra il 1859-1861, gli ultimi anni del governo borbonico. Ne è ricamata la vita quotidiana e semplice del paese, nelle condizioni culturali e sociali d’allora. E nella seconda parte l’arrivo dei piemontesi e dei garibaldini che seminano contrastanti sentimenti di speranza e di paura nei contadini intimoriti da nuovi e peggiori sofferenze. E’ una archeologia sentimentale, una indoratura della memoria, un tuffo nel mondo delle origini. In questa sua casa lussuosa e decrepita, Jovine ha voluto idealizzare l’abitazione dei De Risio, famiglia borghese quasi cristallizzata in una struttura socio economica di tipo ancora feudale.
Sembrano essersi fermate qui, consuetudini, gesti, insofferenze, astuzie, rancori. Son romanzati qui, i tre fratelli De Risio:
- un vecchio Canonico, grasso e goloso, don Beniamimo, chiamato il “Signor Zio”;
- un ex ufficiale napoleonico don Giovannino;
- il rinsecchito ed avaro don Euticchio, implacabile oppressore dei contadini.
Ed i nipoti: Antonietta, creatura dolce e di animo vivo e deciso; don Carlo il “dottor fisico”, presuntuoso ed ignorante, laureato in medicina.
Ma è collegata qui anche una corte di personaggi, intorno ai quali ruota l’insieme della vicenda: don Matteo, il prete arguto, misero, generoso, assiduo cliente della mensa dei De Ruisio, in polemica con i confratelli più fortunati, sempre dalla parte dei più deboli. Egli risponde, con l’ironia del pudore, con la definitiva dignità di uomo e di sacerdote, con la morte, alla impietosa canzonatura dei ricchi, ed al sogno di liberazione dei poveri.
Pietro Veleno, educato da don Matteo all’obbedienza ed alla speranza, l’eroe dei cafoni, l’incarnazione della realtà e della verità, per cui combatte e muore.
Fugnitta, Stefano Leone, l’asino di don Matteo, respirano ancora qui, ed offrono immutato fascino ed interesse a quel “pane e paura” del tempo; a quei drammi ed a quelle gioie “do tiempe da Gnora Ava, quando l’imperatore, metteva a morte chi gioiva e faceva a’mmore”.
Più vicino alla fischia Menoble, c’è quest’altro casamento signorile dentro il quale nasce Carlo Romeo, giovane poeta, giurista, martire della libertà, nella rivoluzione partenopea del 1799.
Egli conosce anche fatti e misfatti e fatterelli della Corte. E poiché l’impeto e la spontaneità gli fece spappare da bocca anche le notizie di certe fughe notturne della principessa Carolina e del compiacente e tenero portamento del Cardile Ruffo, fu impiccato in Piazza Mercato a Napoli il 14 dicembre 1799.
Il paese immaginato da Jovine, il borgo medioevale era in sostanza questo: un agglomerato di casette, poggiate su questo roccione titanico. Unnostro progenitore sconosciuto, come l’uomo saggiodel Vangelo, decise di costruire Guardialfiera sulla roccia.
“Cadde la pioggia, inondarono i fiuri, fischiaroni i venti, ma la casa non cadde: era edificata sulla pietra” (Mt., 7,25).
Un ammonimento indiretto da questa roccia silenziosa, forse anche all’uomo stolto di sempre.. e di oggi, che follemente azzarda costruzioni e scelte di ideali e di vita, sulla sabbia.
“Ma venne la pioggia, inondarono i fiumi, fischiarono i venti, e per quella casa la rovina fu grande” (Mt., 7,27)